Il Po come set cinematografico
un breve, ma intenso, repertorio*

"Voliamo la bonifica" Delta Padano Florestiano Vancini

Per la Filmografia italiana dei primi anni ’40 la scoperta del paesaggio del Po è stato uno degli elementi essenziali nella formazione di un cinema diverso, lontano dai moduli di cartapesta di Cinecittà. “Vorremmo – scriveva nel 1939 Michelangelo Antonioniuna pellicola avente a protagonista il Po, nella quale non il folclore destasse l’interesse, ma lo spirito, cioè un insieme di elementi morali e psicologici”.

Quattro anni più tardi, il regista ferrarese realizza “Gente del Po”, un viaggio nel quotidiano che ha come protagonista il malinconico paesaggio del fiume e la sua gente comune.
Per una curiosa coincidenza, a pochi chilometri di distanza dal luogo dove Antonioni gira il documentario, Luchino Visconti ambienta il suo primo film “Ossessione” con Clara Calamai e Massimo Girotti. “Ossessione”, per la sua visione non oleografica del paesaggio è considerato uno dei capostipiti del “neorealismo”.

Alla fine del ’46 è la volta di Roberto Rossellini: il sesto episodio del suo “Paisà” si svolge nello scenario desolato del Delta. I fotogrammi con i cadaveri che passavano sull’acqua, lentamente naviganti sul Po, con un cartello che recava la scritta ‘partigiano’, sono certamente una delle immagini più celebrate del cinema neorealista.

Gli anni ’50 consolidano il paesaggio del delta padano, nella cultura cinematografica, come sorta di teatro con funzionalità drammatica per rappresentare realtà fatta di miserie arcaiche e tragedie sentimentali, ricordiamo: “La donna del fiume” di Mario Soldati, “Il grido” ancora di Antonioni, “Quando il Po è dolce” di Renzo Renzi, “Delta Padano” di Florestano Vancini, “Un ettaro di cielo” di Aglauco Casadio. Degli anni ’50 è anche la prima versione di “Scano Boa” di Renato Dall’Ara, tratto dall’omonimo romanzo di G.A. Cibotto. Film cineamatoriale con ottimi consensi di critica e premi anche internazionali.

Con gli anni ’60 venne anche per il Po il tempo del risveglio: ponti di ferro, treni sferraglianti, ciminiere fumose e argini di cemento. Tutto un mondo moderno, meccanico, industrializzato che venne a mettere a soqquadro l’armonia di quello antico. E’ una “rivoluzione” del paesaggio che alimenta una sorta di nostalgia per un tempo perduto. E’ del 1964 il film “Prima della rivoluzione” di Bernardo Bertolucci dove i protagonisti cantano un fiume che non potrà più esserci…Come non ricordare, di Antonioni, la definizione puntuale del paesaggio padano di allora : “…Il luogo della ‘geografia della memoria”. Ecco “La lunga notte del ‘43” di Florestano Vancini, dove un argine del Po servirà a materializzare ancora una volta lo slancio dei sentimenti e delle passioni.

E’ ormai, il paesaggio del Po, elemento imprescindibile per tutta la generazione del Cinema italiano degli anni ‘70. La creatività artistica di nomi come: Giuliano Montaldo con “L’Agnese va a morire”, Pupi Avati con “Le strelle nel fosso” per arrivare agli anni ’80; Gianfranco Mingozzi con “La vela incantata”, Ermanno Olmi con“Lungo il fiume”, mantiene un rapporto molto vitale con il grande fiume.

Un ricordo speciale va a Carlo Mazzacurati che nel 1987 esordisce con “Notte italiana” proponendosi come uno dei più interessanti registi del nuovo cinema nazionale e rivelandosi poi l’indimenticabile cantore del paesaggio del Po.

* da Il Po del ‘900
arte, cinema, letteratura.

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